sabato 4 ottobre 2025

Diari e lettere: la scrittura slow

Qualche giorno fa raccontavo di come la mia adolescenza fosse stata salvata dalla musica e dai miei amici di penna.

Io, in realtà, di amici di penna ne ho ancora.
Non quelli di allora — i primissimi si sono persi tra traslochi, cambi di vita, caselle postali dimenticate. Ma con altri, nel tempo, si è creato qualcosa di duraturo. E ancora oggi, dopo trent’anni, ci sono lettere che attraversano la distanza e arrivano fino a me, scritte a mano, infilate in buste colorate, spesso accompagnate da piccoli pensieri: una foglia essiccata, una bustina di tè, un disegno.
Un modo di comunicare che continua a resistere, lento e prezioso, fuori dal tempo.

Scrivere lettere è diverso da tenere un blog.
Qui, su queste pagine virtuali, mi racconto - sì - ma lo faccio in una forma più aperta, rivolta a chiunque voglia leggere.
Con gli amici di penna, invece, esiste un’intimità costruita nel tempo, un dialogo che va avanti per strati, in cui ci si risponde con calma, lasciando sedimentare le parole.
È un cammino a due, fatto di confidenze, momenti di silenzio e ritorni. Un diario condiviso, ma solo tra due mani.
E no, non è la stessa cosa di un commento sotto un post, di un messaggio in direct o di una reazione su una storia.

Forse è proprio questo che rende così speciale l’amicizia epistolare: la sua intenzionalità.
Nessuno scrive una lettera per noia, o per riempire un momento morto.
Ci si siede, si prende carta e penna, si sceglie cosa dire. Si regala tempo. Si riceve attenzione.

Immagine Pin Storia 

E per quanto io ami scrivere anche qui, e trovare in questo spazio una forma diversa ma altrettanto vera di espressione, so bene che certe parti di me, quelle più intime, trovano casa solo in quelle lettere scritte a mano, che profumano ancora di attesa, silenzio e cura.

Poi ci sono i diari.
Ne ho avuti, eccome.
Da piccola ci ho provato più volte a tenerne uno, ma perdevo interesse abbastanza in fretta.
Non so, non mi dava granché. Forse perché scrivevo per me stessa ma non sentivo alcun dialogo, nessun ritorno. Quelle pagine restavano mute, chiuse, in un cassetto.

Tutto è cambiato però alle medie — e ancor di più alle superiori.
Lì il diario è diventato un compagno di viaggio, un oggetto vivo che non serviva solo a segnare i compiti per casa, ma che raccontava di me, delle mie giornate, dei miei mondi interiori.
Era insieme una agenda personale, un raccoglitore di emozioni e uno spazio creativo: ci incollavo testi di canzoni, stickers, foto dei miei cantanti preferiti, biglietti di concerti, ma conteneva anche dediche degli amici, autografi.
Ogni pagina era un piccolo frammento fatto di colori, di frasi sottolineate, di sogni.
E c'era qualcosa di speciale nel riaprire quelle pagine anche solo per rileggerle dopo qualche settimana, riconoscersi, sorridere, a volte vergognarsi pure delle assurdità fatte!

Ne ho avuti anche dopo le medie.
Poi, a un certo punto, ho smesso.
Non perché non avessi più nulla da dire, ma perché ho scoperto con dispiacere che mia madre li leggeva di nascosto, anche se ero ormai adulta.
Quella violazione, quel sentirsi guardata senza il proprio consenso, ha chiuso una porta dentro di me.
E da lì, lentamente, ho cominciato a scrivere altrove ed intensificare i miei rapporti epistolari.

È così che sono arrivata ai blog: uno spazio tutto mio, sì, ma pubblico. Protetto e insieme esposto.
Scrivo sapendo che qualcuno legge - e questo, paradossalmente, non mi dispiace.
Perché oggi, più di allora, scelgo io cosa mostrare, cosa tenere, cosa lasciare andare.

E forse, alla fine, è questo il filo rosso che unisce tutto: scrivere per non perdersi.
Che sia su carta, su tastiera, dentro una busta o in una pagina web, scrivo per restare e ricordare. Forse è il vero modo che ho per rimanere radicata nel qui ed ora. Più o meno, eh... Del resto la mia mente resta pur sempre una mina vagante!

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