Noi che siamo stati bambini negli anni ’80 (ma anche negli anni ’90) abbiamo avuto un’infanzia abbastanza traumatica.
All’epoca le nostre giornate trascorse in cortile o a casa di amici - ma ancor meglio le sere d’estate all’imbrunire, sotto l’occhio vigile delle vicine di casa che facevano filò - finivano spesso con l’immancabile domanda:
“Sapete che cosa è successo a un mio amico in vacanza lo scorso anno?”
In effetti erano sempre amici, cugini o zii i protagonisti e testimoni delle situazioni più bislacche.
A volte si trattava davvero di fatti realmente accaduti, e lo capivi subito: erano divertenti, e non c’era alcuna componente horror.
Altre volte, invece, l’alone di mistero calava come una scure e ti mozzava il respiro.
Ricordo che la leggenda urbana che andava più di moda era quella della bambina pallida e vestita di bianco che bussava alla porta di casa (per lo più case di montagna o case vacanza) per chiedere un bicchiere di latte.
Quando il malcapitato rientrava in casa per prenderlo e tornava all’ingresso per porgerglielo, la bambina era sparita.
Il giorno dopo, per motivi mai del tutto chiariti, si scopriva che la bambina altro non era che un fantasma.
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Fotografia recuperata da Pinterest |
Ma la leggenda che preferivo - e sulla quale, poi, ho scoperto sussistere un fondo di verità - era quella legata a una villa che si trovava a pochi chilometri da dove vivevo.
Sperduta (ma non troppo) in mezzo alle campagne emiliane, veniva chiamata Villa Mastella (non era il suo vero nome, ma questo l’ho scoperto solo in tempi abbastanza recenti).
I più avventurosi, nei primi anni ’90, organizzavano veri e propri pellegrinaggi in bicicletta, cercando di avvicinarsi il più possibile e sbirciando dalle finestre per scoprire qualche mistero.
Si diceva che ci fossero i fantasmi, ma nessuno ne aveva mai visto veramente uno. Poi, qualcuno iniziò a dire di aver visto qualcosa...
Non fantasmi, ma quadri molto strani. Guardando da una finestra, infatti, aveva notato dei dipinti appesi alle pareti che rappresentavano il diavolo in persona.
Non esistono però prove fotografiche di quanto riportato dal nostro Indiana Jones dell’epoca, quindi dobbiamo attenerci esclusivamente alla sua testimonianza.
Dalle mie parti, la leggenda dell’autostoppista fantasma è arrivata dopo, verso la fine degli anni ’90.
Ce la raccontavamo alle superiori, sussurrandoci i dettagli più raccapriccianti durante la ricreazione o disegnando i momenti salienti sui nostri diari.
Così come, del resto, che in America i coccodrilli venissero fuori dalla doccia, l’ho scoperto solo grazie a Samuele Bersani.
Per me, al massimo, nelle fogne ci vivevano le Tartarughe Ninja con il buon vecchio Splinter.
Chissà quanto ci fosse di vero in tutte queste leggende, e quanto invece fosse solo frutto dell’immaginazione di qualche amico a cui piaceva avere i suoi cinque minuti di gloria raccontando cose assurde.
Un po’ come quel mio compagno delle elementari che mi disse di aver trovato uno zombie nel baule dell’auto dei suoi genitori mentre tornavano dall’Olanda.
Che già per me, l’Olanda era un luogo mitico, inarrivabile, dall’altra parte del mondo — e quindi, di per sé, pieno di misteri...
Ma ammetto che, dopo il primo brivido, mi resi conto che si trattava di una panzana colossale. Lui stesso, a dire il vero, non sembrava troppo convinto.
Oggi, sempre più presto, i bambini si ritrovano tra le mani uno smartphone e hanno accesso a tutto lo scibile del web.
Manca, a mio avviso, quell’alone di magia che da piccoli ci permetteva di credere a queste leggende, di fidarci dell’amico che ce le raccontava, anche senza video o fotografie a supporto.
E poi, diciamocelo: quelle poche immagini che giravano erano sempre sfocate, e lasciavano tantissimo spazio all’immaginazione o al classico “ma va là, non si vede niente!”
Forse dovremmo essere noi adulti a ristabilire un po’ l’equilibrio.
A lasciare che la fantasia corra, ogni tanto. A non farci inghiottire del tutto dal “tutto e subito” del web.
Perché quella magia — quella che non ha bisogno di prove fotografiche a tutti i costi —
io credo che i nostri figli e i nostri nipoti se la meritino.
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