A me l’adolescenza l’hanno salvata due cose: i miei amici di penna (poiché non avevo veri amici attorno a me) e la musica. Oggi vorrei parlare della musica, e in special modo delle tre canzoni che mi hanno salvato l’adolescenza.
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Immagine proveniente da Pinterest |
Le ricollego a un periodo non propriamente felice, fatto di bullismo e lacrime a fiumi: quello della prima media. Il nostro insegnante di educazione musicale, un giorno, venne in classe con uno stereo e una cassetta sulla quale erano incise tre canzoni. Ci chiese di ascoltarle e di scrivere, per ognuna di esse, che cosa ci facessero venire in mente.
La musica faceva già parte della mia vita: penso ai vinili di musica italiana dei miei genitori, alla radio sempre accesa che, fin da piccola, mi aveva fatto scoprire la new wave. Ero innamorata persa dei Righeira, tanto che - alla "veneranda età" di 4 anni - i miei genitori mi portarono a un loro concerto.
Eppure quella mattina fu diversa. Quelle tre canzoni, in quell’aula, con quel compito tra le mani, mi fecero qualcosa. Qualcosa che ancora oggi non so spiegare del tutto, ma che so riconoscere chiaramente: da lì in poi la musica è diventata la mia salvezza. E me ne accorgo solo ora, a distanza di molti anni.
Il primo brano era Caribbean Blue di Enya.
Il secondo era (You Gotta) Fight for Your Right (To Party) dei Beastie Boys.
Il terzo era Locomotive dei Guns N’ Roses.
Ok, forse non necessariamente in quest’ordine.
Il brano di Enya aveva qualcosa di particolare, di mai sentito prima. Quella voce eterea e quella musica che pareva provenire da un altro mondo ebbero su di me l'effetto di una bacchetta magica. C’erano l’atmosfera dei sogni, la voce delle fate, il richiamo a qualcosa che, fino ad allora, aveva vissuto solamente nella mia testa.
Grazie a Enya ho poi conosciuto la musica "celtica" (mi si passi il termine, ma all’epoca si chiamava così!), mi sono avvicinata a Loreena McKennitt e ho percorso il sentiero della musica irlandese.
Il brano dei Beastie Boys, invece, fu spiazzante. Fu il mio primissimo impatto con la musica rap, fatta eccezione per Jovanotti, che però non mi aveva mai conquistata fino in fondo. Questa era proprio tutta un’altra cosa: c’erano irriverenza, rabbia, sfrontatezza, e - pur non capendo un accidente di inglese, con un testo per me assolutamente intraducibile - l’energia che lo permeava mi arrivava forte e chiara.
Spoiler: da allora non ho mai smesso di ascoltare rap.
Locomotive, infine, fu un pugno in faccia. Il nostro prof avrebbe potuto farci ascoltare qualcos’altro, del resto: erano appena usciti i due dischi di Use Your Illusion, che contenevano brani molto più orecchiabili. Non so perché scelse proprio questa, ma so che fu la scelta giusta.
Una canzone lunghissima, intensa, un grido di rabbia che assomigliava tantissimo a quella che sentivo dentro. La dimostrazione che quella rabbia può essere convogliata in altro: non solo nelle lacrime e nella frustrazione, ma soprattutto nella musica, nell’arte.
Da quel giorno, la musica è diventata molto più di una passione: è stata rifugio, cura, linguaggio segreto.
A volte mi chiedo se quel professore sapesse davvero cosa stava facendo, o se fu tutto un caso. So solo che quella mattina, a scuola, mentre fuori il mondo mi faceva sentire sbagliata, io ho scoperto che dentro di me era nato un posto sicuro. E quel posto suonava fortissimo.
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