Questa domanda mi è stata posta spesso, non solo da persone italiane, ma anche da romeni e moldavi.
Non è facile spiegarlo in poche parole, perciò a volte mi ritrovo a dover rispondere con un riduttivo “perché la trovo affascinante”.
In realtà, la strada che mi ha portata fin qui è stata lunga e affonda le sue radici in una mattina primaverile laziale del 2009.
All'epoca mi trovavo spesso ospite a casa di universitari che avevano come coinquilini due ragazzi rumeni: grandi appassionati di birre imbevibili, instancabili lavoratori, un po’ pasticcioni e dal cuore immensamente grande.
Li ascoltavo parlare tra loro e mi rendevo conto di capire abbastanza bene di cosa stessero parlando. Inoltre, lasciavano spesso in giro per casa alcune riviste scritte in rumeno, e mi divertivo a cercare di tradurre quel che c’era scritto.
Ai tempi non c’era mica Google Lens per fotografare le scritte e tradurle in automatico: dovevi chiedere. E così ho iniziato a chiedere.
Uno dei ragazzi, che per privacy e praticità chiameremo Andrei, stava ascoltando un disco di musica popolare rumena, che aveva una forte assonanza col liscio nostrano.
Ho preso la copertina del disco tra le mani e gli ho chiesto: «Mi tradurresti il titolo di queste canzoni?».
Lui, con un sorrisone, mi ha risposto: «Dai, prova a indovinarli tu intanto».
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Romania | Traditional Romanian Clothing | silviafloareatoth |
Ne ho azzeccati circa la metà.
Il resto me l’ha spiegato Andrei, raccontandomi che quel tipo di musica era molto popolare nella zona in cui viveva, un paesino rurale dove alcuni ancora si spostano a cavallo, con il biroccino.
Ha iniziato a raccontarmi il suo mondo, quello che aveva lasciato per potersi permettere un lavoro sicuro qui in Italia - e che, per certi versi, mi sembrava uscito da un’antica leggenda o da un vecchio libro di favole.
È stato lì che il mio cuoricino ha iniziato a battere forte.
Non per Andrei, ma per il suo paese.
Ho iniziato cercando qualche corso gratuito di lingua romena online, e da lì mi ci sono buttata a capofitto, in un’avventura di cui nemmeno io conoscevo la destinazione.
Sapevo solo una cosa: che avrei potuto davvero capire quel paese soltanto imparandone la lingua. Solo così avrei avuto accesso diretto alle risorse che mi interessavano, senza dovermi affidare alle grossolane (e spesso fuorvianti) traduzioni di Google.
Volevo capire meglio la Romania. Conoscerne la musica, le tradizioni, le leggende, i racconti popolari e le radici pagane.
Pochi anni prima avevo letto alcuni testi di Marija Gimbutas, in cui l’antropologa raccontava della nascita delle culture matriarcali proprio in Romania, nella civiltà di Cucuteni. Sentivo il bisogno di saperne di più.
Era come un richiamo fortissimo.
Lo stesso che provo per la mia amata Irlanda.
E per la Sardegna - anche se, in quel caso, per ovvi motivi: porto un cognome sardo.
Pur sapendo che, per me, un viaggio verso quelle terre potrebbe rimanere soltanto un sogno (mancanza di pecunia e di giorni liberi in primis), quel legame resta forte.
È una voce arcana e distante, una lettera scritta da mani sconosciute, che odora di boschi, caminetti accesi e pietre antiche.
C’è un elemento naturale che associo istintivamente alla Romania, ed è la terra.
Penso ai Carpazi, ai monti Măci, alle miniere, alle antiche foreste e alle pietre con cui sono stati costruiti i suoi meravigliosi castelli.
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Il Castello di Bran, foto recuperata su Pinterest |
A proposito di castelli: la prima cosa che un appassionato di storia romena o di folklore dovrebbe sapere è che il castello di Bran non ha nulla a che vedere con Dracula e con le atmosfere vampiresche tanto care a Stoker.
Oggi ospita un interessante museo dedicato alla regina Maria di Romania.
Ma poiché il marketing ha le sue leggi - alle quali noi comuni mortali ci sottoponiamo, peraltro, con sommo piacere - negli ultimi anni è stata aggiunta al castello anche una sezione dedicata ai vampiri, alle torture e a tutto ciò che è commercialmente acchiappa-turisti.
Ne parlerò ancora della mia amata Romania. Forse anche prima del previsto.
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