giovedì 25 settembre 2025

Se potessi scrivere un libro (e perchè non lo faccio)

Siamo arrivati al punto in cui chiunque può scrivere un libro e pubblicarlo. Da una parte, ciò è entusiasmante, se pensiamo che anche solo pochi decenni fa questo sarebbe parso impossibile - oserei dire distopico. Oggi abbiamo tutti gli strumenti che ci permettono di far conoscere agli altri i nostri racconti, le nostre poesie, i nostri pensieri messi a nudo su un foglio - di carta o virtuale.

Dall’altra parte, però, stiamo assistendo a un fenomeno difficile da digerire: una saturazione non indifferente del mercato e un numero sempre più alto di scrittori wannabe che pubblicano scritti pieni di strafalcioni, orrori grammaticali e altre simili impudicizie.

La prima volta che ho letto un libro e ho pensato: Anche a me piacerebbe scrivere qualcosa del genere! si perde nella notte dei tempi.
Potrebbe essere stato Pattini d’argento, Cuore, I ragazzi della via Pál... o anche La piccola scopa di Mary Stewart.
O forse tutti e quattro, in quattro momenti distinti della mia vita.

Immagine Pin Storia 

Il punto è che, tutt’oggi, continua ad accadermi. Finisco la lettura di un romanzo, lo chiudo, me lo rigiro tra le mani, ne annuso le pagine per l’ultima volta prima di riporlo sul suo scaffale… e penso che, porca miseria, se solo sapessi scrivere!

Ho un mondo, in testa, che vive letteralmente per conto proprio, e al quale, a volte, ho davvero cercato di dare una voce, un’immagine, una collocazione.

In passato ho scritto diversi racconti. Esercizi di stile, per lo più.
A volte osservavo una cartolina e mettevo su carta le creature che, nella mia testa, popolavano quello scorcio. Altre volte prendevo spunto da piccoli fatti realmente accaduti a me: li romanzavo un po’, a volte li stravolgevo completamente.
Li ho fatti leggere, a suo tempo, ad alcuni miei amici di penna, i quali mi avevano anche fatto un sacco di complimenti.
Ma, siccome “ogni scarrafone è bell' a mamma soja”, non posso certo ritenere imparziali né i loro giudizi né i miei (ammetto che, a distanza di tempo, rileggere alcuni di quegli scritti salvati su un vecchio hard disk - sopravvissuti al passaggio dal floppy fino ad oggi - mi ha fatto pensare che, tutto sommato, non facessero poi così schifo).

Ho anche provato a scrivere un romanzo.
Anzi, due, per l’esattezza.

Il primo risale ai primi anni 2000: un romanzo breve, che iniziava anche discretamente, ma che a metà ha improvvisamente risentito della cosiddetta crisi dello scrittore.
Ho voluto comunque concluderlo, con il risultato che la prima parte è anche decente, mentre il finale fa schifo ai maiali. Con tutto il rispetto per queste meravigliose creature (un giorno vi racconterò di quando ho fatto le coccole a un maialino di nome Timo).

Il secondo l’ho iniziato in un periodo un po’ particolare della mia vita, circa dodici anni fa.
Ero a Udine, in cerca di un lavoro, di una svolta.
Passavo le serate in cui non ero fuori a ber… ehm, con gli amici, giocando di ruolo online e provando a mettere in forma romanzata la storia di origine del mio personaggio: un’erborista che vive in una sorta di medioevo fantasy.

 

Ho scritto il primo capitolo.
L’ho riscritto più e più volte.
E poi mi sono bloccata.
E non l’ho più ripreso in mano, perché la vita è andata avanti, mentre io sono tornata indietro. A casa mia.
Lasciando la mia cara Udine, in cui è rimasto molto più che un pezzetto del mio cuore.

Quel capitolo l’ho riletto qualche settimana fa, ritrovandolo dopo averlo dato per disperso nell’ennesima esplosione del mio ultimo computer.
Cavolo, è davvero bello.

Mi piacerebbe davvero tanto continuarlo.
Il problema è che non riesco.

Non è la mancanza di tempo.
Non è la paura di sbagliare: sto imparando, alla mia veneranda età, che è giusto e sacrosanto scrivere anche solo per sé stessi, senza dover per forza condividerlo con ampie cerchie di persone, come i social ci hanno ormai abituati.
Non è nemmeno l’incertezza sul genere letterario (fantasy? storico? adolescenziale? horror? epistolare?).

Ve lo dico io qual è il punto.
Ho pietà per le mie povere creature. 

So iniziare qualcosa, e a volte ci riesco particolarmente bene, ma non riesco a portare a termine nulla.
Io, le porte, le ho sempre lasciate aperte: non sono mai stata capace di chiuderle.
E così tutto rimane lì, in sospeso, con personaggi che stanno per compiere un’azione… e restano fermi.
Per giorni, mesi, anni.

Non me la sento di condannarli a questo destino.
Loro, che avrebbero tanto da dire, da fare, da vivere!
Nella migliore delle ipotesi sarebbero destinati all’immobilità perenne; nella peggiore, a fare la squallida fine della mia protagonista de La finestra sul mare (sì, aveva anche un nome, quell’abominio!).

Se potessi scrivere un libro - uno solo - darei sicuramente una chance alla storia della mia erborista.
Ma non lo pubblicherei. O, quantomeno, non avrei la presunzione di farlo.

 

Il lavoro di uno scrittore è difficile: richiede una padronanza lessicale che a me manca, una fantasia che - nel mio caso - si è andata affievolendo notevolmente negli ultimi quindici anni, e una disponibilità economica che io non avrò nemmeno tra cent’anni.

Lo faccio per riguardo verso chi lavora seriamente in questo campo - scrittori, editor, case editrici, illustratori di copertine - e verso chi scrive davvero bene, usando tutti i mezzi a propria disposizione per pubblicare opere che rispettano i futuri lettori, e che mettono nelle loro mani un prodotto di qualità.
Non un ammasso di parole in cui la h nel verbo avere non è mai contemplata.

Ho comunque intenzione di non abbandonare la scrittura “in forma breve”.
A inizio settembre sono tornata a casa da una breve vacanza sull’Appennino con un bel po' di note scritte sul cellulare: appunti, ritratti di persone incrociate lungo il cammino, profumi, sensazioni.

Non so se ne farò delle canzoni (in un caso lo vedo molto probabile), delle poesie o dei piccoli ritratti scritti — non li chiamo racconti, perché davvero non posso definirli tali.
Sono come i fotogrammi di un film, fotografie, battiti di cuore e di palpebre.

E poi, forse, qualcosa finirà anche qui sul blog. Senza pretese. 
Solo per ricordare.

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