La teoria del dolcino

Bisogna sapere che a casa mia i dolci durano il tempo d'un batter di ciglia. Poi ci lamentiamo che abbiamo la panza, i chiapponi, la pappagorgia e mia nonna in carriola, ma questi sono dettagli fortemente trascurabili quando di fronte a noi si trova LUI, IL DOLCINO!

Dal Dizionario Economico di Pipistrello Ottavo:

Dolcino, s.m.  

De lo'ntutto che possede magno et largo valimento cannameloso per lo qual v'è sempre loco intro l'epa, anche che dedrè pantagrueliche libagioni. 

Nella filosofia spicciola del Dolcino esistono però due tabù che solamente i veri temerari riescono a violare: iniziare con la prima porzione e mangiare l'ultima fetta.

Io infrango spesso e volentieri entrambi: inutile far gli schizzinosi, incolparsi a vicenda, sghignazzar sarcasticamente sgomitando al proprio vicino di desco e lanciando occhiate al temerario di turno. Che magari è pure la nonna della zia della sorella di tua suocera che ha cent'anni per gamba e magari questa è la sua ultima cena lasciamolegoderelavitamaremmassassina.

Meglio prendersi la responsabilità del caso, esser pecora nera ed agguantare il malloppo.

Quest'anno però, complice la mia impossibilità più o meno momentanea di masticare cibi più solidi di un purè, mi ero tenuta cara l'ultima fetta di colomba pasquale. Veramente, lo giuro: era proprio il culetto della colombella. Me lo riguardavo la sera, la mattina, me lo annusavo dentro il suo sacchettino profumato di pasticceria e cose buone.

Ma l'altra notte non ho resistito. Una voragine implacabile si è aperta nel mio stomaco. FAME! Non potevo farmi un purè all'una di notte, pertanto...

Pertanto il culo della colombella non c'è più.

Sul tavolo, tristemente, ne ho lasciato in memoria il corpo senza vita e l'epitaffio. Il mattino dopo mia madre ha dato loro giusta sepoltura. Nella differenziata.